di Gianluigi F.
La scuola di comunità che stiamo facendo è vitale per noi, perché anche se i contenuti che vengono qui enunciati potrebbero sembrarci già sentiti, in realtà facciamo fatica ad applicarli e a viverli. Il tempo, in effetti, non fa che sclerotizzare alcune tendenze, come la difficoltà ad amare davver il nostro destino.
Che senso ha darci da fare a indagare la scuola di comunità se non per un amore grandissimo al nostro destino? È questo amore che ci costringe e ci spinge a un’ascesi.
A ostacolarci, talvolta, c’è la tentazione di diventare noi i gestori di tutto: è così forte da non lasciare nessuno spazio alla grazia dell’imprevisto, che si manifesta talvolta anche in un incontro improbabile, o nel miracolo della riappacificazione con una persona cara o con se stessi. Si può dare spazio all’imprevisto quando si smette di gestire tutto a livello intellettuale – esasperando l’utilizzo della ragione a scapito del sentimento, quando ci si mette in discussione, per riconoscere la verità così come si palesa, anche se essa cambia tutti gli schemi che avevamo in mente, perfino se essa sconvolge la vita.
Occorre una grande onestà per riconoscere la verità là dove si manifesta e nelle modalità in cui si manifesta. Per essere capaci di riconoscerla, infatti, c’è bisogno di un’ascesi, di un allenamento a vivere i preconcetti non come verdetto ultimo su tutto, ma come parole: è necessario saper modulare e cambiare.
L’ascesi avviene dentro un grande amore a noi stessi che supera la tentazione dell’abitudine, del consolidato, dello stabilito. L’amore a sé è il desiderio che trionfi il destino buono che abbiamo dentro, e quindi anche la capacità di sconfiggere alcuni cliché che ci portiamo. Nell’adulto questa tentazione è molto ricorrente perché fa fatica a mettersi in discussione, l’esito di questo atteggiamento sono la tristezza, la rabbia e la delusione per la mancata realizzazione del progetto che si aveva. Invece, è necessario capire che il destino non lo decidiamo noi, non siamo i padroni di noi stessi! Lasciarci fare da un Altro è una grazia da chiedere: in questo ci aiuta la fedeltà alla preghiera. Proprio quando stanchi ci corichiamo, la coscienza ci richiama alla recita della compieta: questa è l’ascesi, il piegare noi stessi alla verità! Perché la verità di noi vale più di ciò che in quel momento abbiamo o meno voglia di fare. L’assiduità alla messa quotidiana, alla meditazione della scuola di comunità, alla lettura del libro del mese, tutti gesti che aiutano l’ascesi, perché aiutano a liberarsi della mentalità del mondo. Non permettiamo che le cose di ogni giorno soffochino la cosa più importante: l’affezione al nostro destino.